Immacolata  Mannarella, direttrice  del carcere di S. M. Maggiore:

Grazie a tutti. Il moderatore mi chiede di fare un intervento graditissimo perché è innanzitutto il momento di ringraziare Gianni Trevisan per tutto il lavoro che ha svolto in questo periodo, in questi lunghi ma brevissimi 20 anni. E ringrazio  la collega, dottoressa Straffi, nelle cui parole mi ritrovo perfettamente,  perché pochi come noi sanno quanto sia oscuro e difficile e non riconosciuto questo lavoro. E allora a me piace riconoscerlo alla collega perché è importante, ha un significato non solo personale ma per la vita.

Le questioni poste oggi sono alte, sono di quelle, per chi fa il mio lavoro, che fanno tremare le vene ai polsi. La consapevolezza di tutto il sistema, il mondo di valori all’interno del quale noi inseriamo la nostra opzione, la possibilità di incidere in positivo o negativo su questo sistema, sono questioni di tale portata e complessità per cui  alla fine uno potrebbe dire no grazie, faccio altro. Infatti molti mi chiedono come mai faccio questo lavoro e come riesco a farlo. Semplicemente perché ogni giorno guardo in faccia le persone, e leggo sui loro volti delle domande, a quei volti io sento giorno per giorno di essere tenuta a dare una risposta. Non abbiamo soluzioni definitive, però abbiamo la possibilità di agire nel nostro piccolo e credo che da questo punto di vista il mondo penitenziario coinvolga tutti. Non è solo la questione del ruolo rivestito all’interno dell’Amministrazione, ma con diverse modalità e con diverse declinazioni rispetto agli stessi discorsi di valore,  alle stesse sfide finali siano chiamati anche i volontari, sia chiamato tutto il mondo della cooperazione che gira intorno al carcere, sia chiamata la comunità sociale. Questo lo riconosco ogni giorno, nella vita comune che è all’interno del carcere. Non ci sono più solo gli operatori e quelli che appartengono all’Amministrazione penitenziaria, è l’intera cittadinanza che entra all’interno e che accetta questa sfida. Io sono qui per dire che la sfida deve continuare e per chiedere alla città di Venezia, all’intera comunità, che questo avvenga con la stessa determinazione di questi anni, ma anche alla luce delle differenza che stanno emergendo anche di tipo istituzionale nel corso del tempo. Voglio ricordare anche un altro aspetto della mia attività, cioè in questo momento non solo ho la direzione della casa Circondariale maschile di Venezia ma anche dell’Ufficio Interdistrettuale per l’Esecuzione Penale Esterna. Cioè la pena viene espiata non solo all’interno della struttura penitenziaria, ma anche all’esterno;  quindi ci sono tantissime persone che per fortuna non entrano mai in carcere benché abbiamo una sanzione penale in corso di esecuzione. Appunto questo lavoro di recupero, di conoscenza delle persone, di riabilitazione richiede la partecipazione attiva della cittadinanza che sia costante nel tempo, e un’Amministrazione amica, e quindi il sostegno forte dell’Amministrazione io lo ritengo scontato. In sostanza si tratta non solo di ricercare opportunità lavorative per i detenuti, per il significato riconosciuto anche a questo tavolo,  ma anche di far fare  attività anche lavorative, a titolo gratuito, di  volontariato,  per restituire qualcosa alla società.  Credo che su questo piano si possa raggiungere quella saldatura e quella comprensione reciproca tra il maltolto del reo, e la restituzione. La società si sente ricompensata proprio per questa contribuzione a titolo gratuito. Io penso alla possibilità di procedere alla pulizia delle strade, alla pulizia dei lampioni, alla pulizia dei cestini gratuitamente, con senso civico. È anche un discorso forte di maturazione, del senso di appartenenza del detenuto, dell’affidato, del semilibero, alla comunità nel suo insieme. Farlo gratuitamente e vedere i cittadini che riconoscono e apprezzano questo passo di avvicinamento reciproco tra chi ha rotto il patto sociale e chi si aspetta che questo patto sociale venga ricostituito. Questo è il mio auspicio, in questa direzione lavoreremo con tutte le Istituzioni che in questo momento il panorama giuridico ci offre. Quindi a partire dalle misure alterative alla detenzione per finire anche a quell’istituto che solo di recente è stato riabilitato che è la possibilità di uscire per il lavoro o per volontariato all’esterno, che è un istituto che stiamo fortemente sostenendo, tant’è che nel nostro caso  sono quindici (15) i detenuti che lavorano all’esterno del carcere pur non avendo alle spalle un riconoscimento di capacità di revisione, di crescita anche dal punto di vista interiore. Siamo noi che contiamo su di loro, è un patto che loro fanno con la Direzione del carcere, in sostanza con lo Stato, dicendo vogliamo lavorare, torneremo ogni sera a casa. Questa sfida fino a questo momento per fortuna è stata raggiunta positivamente.

Grazie.